La libertà è un’invenzione dell’essere umano, mi hanno detto.
In una prigione siamo nati, in una prigione moriremo. Intrappolati in realtà da noi non volute, incatenati alle nostre origini, ingabbiati nella tradizione, nel sistema.
Impossibile uscire. Un destino condannato alla schiavitù della routine e la ripetizione; giorno dopo giorno lo stesso inutile tragitto, come se realmente stessimo andando da qualche parte, come se realmente ci fosse una via d’uscita. Come se al millesimo cartellino timbrato si potesse davvero aprire una porta. Invece, se ne chiudono decine ogni volta. Ogni volta che facciamo una scelta sensata, ogni volta che facciamo un passo in più verso il “futuro”. Milioni di porticine che si chiudono. A volte ti si sbattono in faccia, con violenza. Altre si chiudono talmente soavemente che neppure te ne accorgi.
Mi hanno raccontato questa storia, questa della libertà. Che bisogna lottare per ottenerla, che se stringi i denti ce la puoi fare. Io non ci credo. Sinceramente, non capisco che cos’è questa tanto decantata libertà. Libera da cosa? Da imposizioni? Dal pregiudizio? Dal condizionamento? Da ordini e dittature? E come ci si libera da noi stessi?
Poi penso a chi, realmente, è chiuso tra quattro mura. A chi non può decidere a che ora mettere la sveglia, a che ora mangiare, cosa mangiare. Qualcuno lo sta autoritariamente decidendo per lui. Penso a chi non può leggere una lettera personale senza che qualcuno l’abbia prima controllata, a chi non può ricevere una telefonata.
Penso a loro e capisco. Capisco il senso di questa parola che è sempre sfuggita ai miei sensi.
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