Saturday, 16 May 2009




Kahlil Gibran, "The divine world"

Nuovi amici,
compagni di inchiostro dimenticato,
questo blog a voi e' dedicato.
A chi vive dei suoi sogni,
a chi ama senza tregua e senza ritegno,
a chi ha fatto del perdono la sua essenza,
a chi da tutto ciò che ha, sapendo che il suo scrigno non sarà mai vuoto,
a chi crede nella verità dell’arte

para ti que ya no estas...

Te escribo en este tren, el mismo que cada día me lleva al trabajo cruzando todo Londres, y siempre con el pensamiento de ti en mi cabecita. Difícil desclavar tu rostro de mis neuronas. Y difícil también dar un nombre a esta cosa que siento adentro, a este brillo que le da tu presencia a mis ojos, a esta alegría que me invade cada vez que estás tú a mi lado.
Pero al mismo tiempo, el miedo está creciendo dentro de mí. Jodido, asqueroso miedo. De no ser querida de la misma manera de la que quiero yo, de sufrir, de volcarme en algo que sólo puede ser un malentendido. Miedo inútil, miedo egoista, como todos los putos miedos. Miedo que, sin embargo, no puedo evitar de sentir cada vez que te miro en los ojos.
Soy una persona valiente, que se arriesga dejando lo cierto para seguir los sueños. No obstante, cuando es mi corazón que habla, cerebro y cuerpo no tienen la fuerza necesaria para aplastar el miedo. Y entonces me quedo envuelta en mi crisálida de paranoias, ententando descifrar señas que igual ni existen. Y en ese intento inmóvil me quedo.
Me gustaría poder hablar con primor, sacar todo lo que siento para poderlo analizar con frialdad y luego exponerlo a ti en la más bonita de las maneras para atraparte, robarte el corazón y quedarme con un trocito de él para siempre. Me gustaría que me quisieras un poquito, lo suficiente para vivir abrazados los días que te quedarás en esta fría ciudad, demostrando al mundo que el tiempo no existe, que todo es eterno si sólo lo crees.
Me gustaría raptar tu alma y destilarla en mi sangre para llevar una parte de ti conmigo, hasta el dia en que tendras la valentía de recogerla luchando contra mi cuerpo, desarmado delante tu dulce sonrisa.

Sunshine

y venga otro kleenex...

Ho 27 anni e consumo persone come se fossero fazzoletti di carta. Li scelgo, fatti su misura per me, e li utilizzo bene; questo si, sicuramente non ne faccio un cattivo uso: non spreco. Però neppure riciclo.
Puntualmente compro il mio pacchettino, lo apro, estraggo uno ad uno i fazzolettini, li spremo, li esaurisco, li inumidisco, li inzuppo con il mio moccico. Poi, uno ad uno, li butto. Alcuni durano meno, altri di più, ma poi, alla fine, li butto via tutti. Si, butto via gli amici. Sono una vera consumista, la sono fino alle budella, nel profondo più profondo. Ed il bello è che lo so e non faccio nulla per cambiare. Quando trovo un fazzoletto nuovo, più fresco e più pulito, più adatto alla mia esigenza del momento, beh.. butto via i vecchi. Tanta introspezione, meditazione, ricerca di me stessa e spiritualismo per poi scoprire che non sono cambiata. Continuo ad aprire pacchetti. Che triste.
Provo a sentire dolore per questo ma il colmo è che non mi fa male. Nessun male. Sono fredda. Egoista. Anche se a livello materiale sono di una generosità impressionante. Egoista sentimentale, piuttosto. Anti-ecologista dell’amore. Riciclo tutto ciò che trovo per strada, faccio skipping, ho una casa costruita con materiale trovato in giro. Non butto via il cibo, mai, però si gli amici. Consumerò presto tutti i miei fazzoletti?

Algo de humor....para algo mas que real...





Por favor señoras!!....Dejen de hacerlo que luego me voy topando con tipos que hacen del machismo su forma de vida y no puedo evitar enojarme...!!

BURBUJAS


Bolle. Esplodono ed inizi a fluttuare.
Bolle. Esplodono e rimani nello spazio.
E soffochi, e non hai più la tua aria, si è mescolata con la loro.
Bolle. Corazza permanente di un Io cancellato,
pensieri dimenticati che si fondono nell’essenza dell’essere.
Bolle sporche e consumate,
che abbandonano desideri reconditi ed incompiuti,
bolle trasparenti che lasciano intravedere il peccato.
Bolle amare e dai colori spenti,
che ingabbiano pensieri dolorosi.
Bolle di fantasia, di aspettative e di passato;
bolle di plastica, vetro, sapone e cristallo consumato.
Bolle di me, di te che non ci sei, di frutta marcia e borse bucate
dalle quali perdi pezzi di vita.
Di vita che non c’è più,
fardello che porta all’incompiutezza di un presente lontano.
Mi manca ossigeno fuori dalla mia bolla, son perduta se non ne posso toccare le pareti, se non ne sento la puzza di rancido, quell’aria viziata necessaria al mio panico quotidiano.
Il mondo fuori è talmente colorato
che m’abbaglia fino alla cecità;
preferisco buio a questa luminosità che non appaga.
E se la verità non esistesse?
Non è forse meglio la reclusione nelle proprie piccole bugie?

EUFORIA ISTERICA

Euforia isterica,
a volte.
Quando sono sconfitta,
intrappolata nel vortice dell’esistenza.
Quando vorrei esserci e non ci sono,
quando leggo nel mio cuore il colore dei tuoi occhi,
quando naufrago nell’ultima parola che mi hai detto,
quando aspetto
di riannusare il tuo respiro
per poter, io, tornare a respirare.
Euforia isterica
questa fluorescenza che m’acceca,
questo ricordo che m’affolla i polmoni
e gli ormoni,
che mi strozza.
Euforia isterica
pensare d’averti accanto
e non poterti incontrare,
ti voglio, ma m’atterrisce doverti cercare,
poterti afferrare e vederti scomparire.
Buttare inchiostro
per poter accorciare le ore,
tornare al guscio dove si fa possibile
la remota tua presenza.
Patire della carenza
e bruciarsi nell’attesa.

Thursday, 14 May 2009

timide duchesse

Oggi tutto mi sta scivolando addosso.
Oggi il mondo sembra estraneo al mio corpo,
l’aria è rarefatta ed i visi lontani.
Nessuno sorride, non a me per lo meno.
Non ci sono braccia che mi stringano,
saliva che mi scaldi.
Neppure io voglio volermi bene.
Preferisco stare qui a guardare la gente passare,
gente brutta, senza allegria.
Vuota come il mio cuore in questo momento.
Cavo e marcio.
Rancido e puzzolente.
Vi cerco e non vi trovo.
Ti aspetto e non arrivi.
Parlo, ma sono muta.
Mi ascoltano, eppure sono sordi.
Mi guardo e non mi vedo, non più,
non riesco a percepire la vera immagine di me.
Sarebbe così facile se anch’io fossi innamorata di te,
mi perderei nei tuoi abbracci invece che in false speranze.
Solo le bambine sono rimaste belle,
timide duchesse dai capelli carota
o combattive indigene dalla pelle dorata.
Ed i loro padri sono belli, anche.
Sembra che gli occhi delle loro fanciulle li abbiano fatti rimanere giovani,
felici,
preparati all’imprevisto.
Baffi tenebrosi che nascondono un sorriso,
mani grandi e avvolgenti.
Guardandoli, ho solo voglia d’alcolizzarmi
Ed anestetizzare il cervello,
dimenticarmi dell’esistenza della serenità
per affogare nella mia disperazione.

Paralytic

"IT HAPPENS.WILL IT GO ON?-
MY MIND A ROCK,
NO FINGERS TO GRIP, NO TONGUE"

Sylvia Plath, Paralytic


Mi sento un po’ così stasera,come questo quadro di Francis Bacon.
Mi sento come un Bambino paralitico che cammina a quattro zampe, come questa figura indefinita che quasi striscia su di un terreno piano, senza una ruga, verde brillante. Un terreno facile, ma con uno sfondo nero alle spalle.
Mi sento come questo bambino paralitico, che ha tanta forza di andare avanti e va veloce rispetto a quelle che sono le sue facoltà, ma non abbastanza rispetto alla lontananza della finestra.
Mi sento così, con il culo in esposizione, ma gli occhi impercettibili, le orecchie nascoste, il corpo privo di peli, di ogni veste.
Mi sento nuda di fronte all’universo, nel bene e nel male. Nuda di fronte alla vita perché mi possa penetrare, ma poi mi rivesta.
Mi sento piccola mentre cerco di raggiungere l’amo, bagliore dondolante di fronte ai miei occhi.
Mi sento le mani palmate che mi fanno andare più lenta; ho le gambe lunghe, ma non riesco a posare i piedi, non posso appoggiare la pianta, cammino sulle punte e mi fa male, non sono abituata a questo scrocchiare delle ossa.
La bocca è gonfia e non c’è luce, non c’è acqua, non c’è luna, non c’è donna.
Forse non ci sono neppure io.


Nonna



Dices que ya no eres de este mundo, pero te puedo asegurar ojitos cerrados, que eres más de aquí que yo…Estas guapa, guapísima…con la inocencia de haber nacido ayer. No hay cosa que me transmita más vida que las palmas de tus manos: surcos de sabiduría que te empeñas en mostrar con cara afligida. Siento orgullo de ellas, no pueden ocultar la dignidad con la que has luchado en las tormentas.
Nadie me besa como tú...ni me besará…agarro cada beso con fuerza y los voy coleccionando para cuando ya no puedas dármelos, igual que hice con los de tú compañero de viaje. Sesenta años de amor loco y sereno que han sido escuela.
Tú memoria está cansada, pero la doy gracias de que no nos traicione…hay día en los que tú cordura supera con creces la mía, y sin tus sabias palabras mis pasos no serían los mismos.
Has luchado por mí en momentos en los que las fuerzas ya no te respondían con la intensidad de la juventud, y has derramado lagrimas por no estar segura de estar haciéndolo bien…nada fue en balde...te lo aseguro....has marcado mi vida…soy tan feliz de haber sentido tus abrazos….

BIENVENIDOS/AS A CASA (algunas palabras en español)





Camino normalmente con zapatos, pero me siento muchas veces como si mis pies no tuviesen ningun tipo de calzado...


Bienvenidos a nuestro rinconcito. Queremos compartir nuestros pensamientos, sentimientos, excentricidades, sueños....
Por supuesto, estais invitados a hacer todo tipo de comentarios, siempre seran bien recibidos.

El cuadro: Desnudo azul
Larionov, Michail. Museo Thyssen-Bornemisza.

Wednesday, 13 May 2009

27 anni

Ventisette anni.
Mia madre
aveva
tre
figli.
Io,
un pugno di polvere.

carlos y la casa okupa

Sento il bisogno
di ritrovare il senso
di un’esistenza che,
davanti ai miei occhi,
lo sta perdendo.
Che male al cuore
un’altra volta,
che fitte alle budella.
Sto diventando
una spirale di polvere scomoda,
un turbinio inutile,
un accumulo di disillusioni.
Sono una speranza perduta,
un rifiuto di me stessa,
uno scarto di emozioni.
Seduta,
ascolto.
Sperando di trovare
nel suono
una via d’uscita a questa situazione fastidiosa,
a queste risa lontane,
a quest’ambiente
con il quale
non riesco ad andare
a piedi pari.
Mi guardo
e mi vedo così assurda,
vuota d’allegria
e priva di dolore,
con tanti pentimenti
e poca speranza.
Il mondo,
coltello affilato;
le persone,
mi provocano vomito;
mi sembra rubino
il mio
già ristretto
spazio vitale.
T’avvicini e mi viene la nausea,
guardo l’altro
e mi viene la nausea;
le ombre intorno a me
mi strappano la mia luce.
Che grigiore mi state provocando,
anime che, in altri momenti, siete la mia luce.

quello che provocano gli sconosciuti, 1 aprile 2009.

Quant’è desolata e triste
quest’immagine di me che vedo dal di fuori,
questa donna in apparenza felice
e piena di sé,
che lotta per qualcosa d’inesistente,
che soffre
per questo male interiore
che altro non è
che fantasia di perfezionismo.
Come può
un viso ignoto
provocare tanto dolore,
un passante accendere
tanta consapevolezza in me,
risvegliare insicurezza,
generare amarezza?
Che desiderio di poter essere,
per lo meno una volta,
dolce nettare
che gli altri bramano bere,
invece d’apparire un liquore amaro
difficile da digerire.
Vorrei sembrare
una bambina innocente
piuttosto che questa donna vissuta,
che sa tutto e non dice nulla,
che tace, sorride ed acconsente,
che uccide il suo fascino
con la consapevolezza,
la conoscenza e la presunzione.
Vorrei essere una principessina,
anziché questa strega
che con un sospiro carpisce
la pesantezza dell’universo.
E mi torna alla mente
la sofferenza canina
sparsa lungo il cammino.
Per quanto arda di desiderio
giammai tornerei a vedere il tuo volto.
Non sono pronta, adesso:
riesco a vedere lontano
e posso percepire la mia sofferenza,
e non voglio ripetere l’esperienza,
non posso vedere un’altra volta
i miei sogni,
il mio sorriso
evaporare in lacrime amare.
Avevo dimenticato
questa morsa allo stomaco,
questo pianto secco dell’anima,
questa claustrofobia polmonare,
l’asfissia del pensiero
di non poterti mai possedere.
Ho bisogno di una via d’uscita
prima che la tua esistenza
si trasformi in un vicolo cieco.
Ho bisogno d’assopire
quest’autismo d’innamorata,
questa passione d’anacoreta.

ibernando il cuore

Dov’è stata
la mia mente fino ad ora?
Vedere la gente
morire di freddo per strada
e poi tornare tranquilla a casa.
In quale dimensione
alberga alcuni giorni il mio cuore
per essere capace
di rimanere insensibile al dolore?
Perché alle volte decidiamo
d’ibernare
la nostra sensibilità?
Oggi
sono morte
150
persone.
Un terremoto.
La notizia non mi ha scossa,
fino a che non mi sono fermata
a pensare.
A volte rimaniamo a guardare
e non sentiamo niente.

d'INTRO

Un blog che è la casa della nostra anima.
Perché a volte i pensieri hanno bisogno di un rifugio, perche' se li nascondi dentro di te, ti rosicchiano lentamente, poi ti annientano.
Questo e' lo spazio della pena e dell'allegria, dell'entusiasmo e della disillusione. Lo spazio di noi due, anime serene ma inquiete, nude di fronte a questa vita che da' tutto, ma ti consuma.
Ti cattura e ti spreme. Questa vita che a volte ti lascia scalza, ti priva della benché minima difesa. Ti stupra e poi ti coccola. Ti strappa le scarpe e te le nasconde, mettendoti alla prova. E cercandole scopri che camminare scalza a volte è un privilegio, perché malgrado sia doloroso, puoi sentire veramente la consistenza delle cose. Magari ti graffi i piedi, ma le cicatrici sono il segno indimenticabile dell'esperienza, nuove compagne del resto del tuo cammino. Perché a piedi nudi la realtà è più vera, perché le spine del sentiero possono arrivare a penetrarti il cuore ed il cervello.
Per sempre...
Ed allora, ormai siamo noi stesse a toglierci le scarpe da sole, non aspettiamo più che siano gli avvenimenti a rubarcele. Perché abbiamo sete di vivere. Anche se a volte fa male.