Non posso aspettare,
no ho tempo per costruire;
sono dannata,
dannata,
dannata...
Adorerei essere come voi,
ma non ne sono
capace.
Non posso,
non ce la faccio.
La pazienza non e' mia,
solo mi consuma lentamente.
Londra,
un massacro.
Di me rimangono solo umide ossa.
Thursday, 23 July 2009
MI VIDA SIN MI
Assopirmi,
senza risveglio.
Agglomerati di sostanze sulfuree,
il non ritorno,
la liberazione.
Perseguo pastiglie,
le bramo,
le anelo.
Le temo.
Cancellare il cervello;
che bruciore.
Che squallore.
Chiudo gli occhi:
l’orizzonte è scomparso,
è un dardo
lanciato lontano e
stupidamente
irrecuperabile.
Non v’è soluzione,
sbocco,
via d’uscita;
non vi sono ponti,
autostrade,
solo paludi, paludi enormi, il mio cuore è una palude
ed io vi sto affondando.
L’aria è polenta, annaspo,
calda e fitta
m’è entrata nei polmoni,
li ha attappati.
Sono una mappa
ammuffitta e poi bruciata,
bruciata nel rogo dell’attesa
e della speranza.
Questa speranza che trucida,
che solo lascia spazio
all’inutile indugio,
alla non-azione,
alla prossima disperazione.
Sono sorda,
cieca
e muta;
strillo dentro e le mucose
s’infiammano,
si dilaniano
e non v’è spazio abbastanza per tirarle fuori.
Furente,
un brandello di carne al fuoco,
rinsecchita,
bruciacchita,
tutt’osso, finita.
Distesa
col peso d’una inutile giovinezza,
incapace di trainare il carro,
incapace di tirare le somme,
incapace addirittura di contare.
Sono a mare,
naufraga del piacere,
dimenticata dagli altri
e da me stessa,
una candela senza stoppino,
una scala a cui manca il primo gradino.
Sono compiuta
senza aver iniziato;
sono un quattro in condotta,
un libro senza copertina,
senza la prima,
né l’ultima pagina.
Una penna a sfera
senza sfera,
una stilografica
con inchiostro asciutto.
Io,
un conato estinto dalla delusione,
un impulso represso,
uno stallone castrato,
uno stinco di porco morso da una iena,
una falena con ali a metà,
una rana stretta troppo forte,
volpe senza pelo,
ragno che ha perduto la ragnatela.
Un veliero senza vela,
stiva rasa al suolo,
lametta arruginita,
unghia morsicata.
Principessa del mio arido deserto,
sultana della disperazione
scorgo l’ultimo spiraglio aperto
e, celere, lo spalanco:
la permanenza mi ristagna,
di solcare le correnti senza spavento
è giunto il tempo.
senza risveglio.
Agglomerati di sostanze sulfuree,
il non ritorno,
la liberazione.
Perseguo pastiglie,
le bramo,
le anelo.
Le temo.
Cancellare il cervello;
che bruciore.
Che squallore.
Chiudo gli occhi:
l’orizzonte è scomparso,
è un dardo
lanciato lontano e
stupidamente
irrecuperabile.
Non v’è soluzione,
sbocco,
via d’uscita;
non vi sono ponti,
autostrade,
solo paludi, paludi enormi, il mio cuore è una palude
ed io vi sto affondando.
L’aria è polenta, annaspo,
calda e fitta
m’è entrata nei polmoni,
li ha attappati.
Sono una mappa
ammuffitta e poi bruciata,
bruciata nel rogo dell’attesa
e della speranza.
Questa speranza che trucida,
che solo lascia spazio
all’inutile indugio,
alla non-azione,
alla prossima disperazione.
Sono sorda,
cieca
e muta;
strillo dentro e le mucose
s’infiammano,
si dilaniano
e non v’è spazio abbastanza per tirarle fuori.
Furente,
un brandello di carne al fuoco,
rinsecchita,
bruciacchita,
tutt’osso, finita.
Distesa
col peso d’una inutile giovinezza,
incapace di trainare il carro,
incapace di tirare le somme,
incapace addirittura di contare.
Sono a mare,
naufraga del piacere,
dimenticata dagli altri
e da me stessa,
una candela senza stoppino,
una scala a cui manca il primo gradino.
Sono compiuta
senza aver iniziato;
sono un quattro in condotta,
un libro senza copertina,
senza la prima,
né l’ultima pagina.
Una penna a sfera
senza sfera,
una stilografica
con inchiostro asciutto.
Io,
un conato estinto dalla delusione,
un impulso represso,
uno stallone castrato,
uno stinco di porco morso da una iena,
una falena con ali a metà,
una rana stretta troppo forte,
volpe senza pelo,
ragno che ha perduto la ragnatela.
Un veliero senza vela,
stiva rasa al suolo,
lametta arruginita,
unghia morsicata.
Principessa del mio arido deserto,
sultana della disperazione
scorgo l’ultimo spiraglio aperto
e, celere, lo spalanco:
la permanenza mi ristagna,
di solcare le correnti senza spavento
è giunto il tempo.
GIOVANI SUICIDE
Giovani suicide
ammaliano il mio spirito
ed accaparrano i miei pensieri,
non v’è spazio per altrui silenzi.
L’armonia non mi diletta,
la sofferenza pura trova specchio nel mio cuore.
La tortura del sentimento,
lo strazio dell’esistenza,
il male d’essere
si fanno gemelli del mio stare.
Metafore agghiaccianti,
lemmi lancinanti,
delirio,
paura,
morte.
Sinestesie che segnano punti di non ritorno,
consapevolezze accolte.
Perché siamo anime per cui non v’è scampo,
siamo bambine anziane,
creature decedute al nascere,
sconfitte in partenza.
Siamo fiori raccolti,
amati, annusati,
ma poi buttati. Senza cura,
senza nessuna premura.
Siamo geniali
e dilanianti,
fuochi accesi che bruciano sé stesse,
anche,
siamo stanche,
vento irrefrenabile,scirocco devastante
che arriva,
travolge e non si placa.
Siamo figlie di noi stesse,
sorelle nel dolore,
muse della sofferenza,
poetesse dell’oggi,
folli del domani.
Siamo gabbiani
con le ali tarpate,
siamo foto dimenticate,
il più bel cimelio
delle vostre soffitte,
ci volete zitte:
incutiamo timore,
terrore.
Siamo metafore
che spalancano porte
sulla vanità dell’esistenza,
annichilendo ogni credenza;
vi lasciamo ricchi di sapere,
ma privi di certezza.
Siamo belle,
caste,
ma sporche di compromesso.
Siamo l’inizio
ed il punto finale,
di voi,
di noi stesse,
siamo defunte dentro,
ma risorgeremo.
Vivremo
la condanna all’incomprensione,
fino all’ultimo,
al gesto finale,
fino al principio
della vera nuova vita.
Quella della parola.
A Sylvia Plath ed Anne Sexton.
Wednesday, 22 July 2009
Auntie...
Perche' e' la mia seconda mamma, perche' e' bella, in gamba e mi piacerebbe essere come lei in molti aspetti.
Perche' e' forte, ma sensibile.
Perche' crede in me.
Perche' e' sempre presente.
Perche' mi piace raccontarle le mie cose ed ascoltare le sue notizie in quelle lunghe chiacchierate a mille chilometri di distanza.
Perche' l'adoro e non glielo ho mai detto.
Perche' e' forte, ma sensibile.
Perche' crede in me.
Perche' e' sempre presente.
Perche' mi piace raccontarle le mie cose ed ascoltare le sue notizie in quelle lunghe chiacchierate a mille chilometri di distanza.
Perche' l'adoro e non glielo ho mai detto.
Sunxy guerriera sopraffina...
Uno sparo. Una notizia, sei qua. Milioni di propositi vanno in fumo, fioretti e prese di coscienza svaniscono nell'assoluta brevita' di una parola. Le tue ali hanno fatto ritorno in questa grigia valle, sei tornato a posare il tuo Io tra i miei pensieri, sento il tuo odore, vicino ed inaferrabile. Una bomba nella mia stupidita' quotidiana, una pallottola affilata in quella che era diventata la mia sterile routine. Non ce la faccio ad ignorare la presenza, anche se non cambia nulla non riesco ad affrontare con serenita' le mie occupazioni quotidiane.
Di nuovo, non sono io la mia priorita', non e' la mia vita ad avere la meglio su di te.
Stanotte, olio di gomito e costruiro' una nuova armatura, sto pensando di farla in titanio, dicono sia molto resistente. Un'armatura che mi isoli da te e mi faccia tornare a me. Metallo pesante che mi salvi dal mondo.
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