Thursday, 23 July 2009

MI VIDA SIN MI

Assopirmi,
senza risveglio.
Agglomerati di sostanze sulfuree,
il non ritorno,
la liberazione.
Perseguo pastiglie,
le bramo,
le anelo.
Le temo.
Cancellare il cervello;
che bruciore.
Che squallore.
Chiudo gli occhi:
l’orizzonte è scomparso,
è un dardo
lanciato lontano e
stupidamente
irrecuperabile.
Non v’è soluzione,
sbocco,
via d’uscita;
non vi sono ponti,
autostrade,
solo paludi, paludi enormi, il mio cuore è una palude
ed io vi sto affondando.
L’aria è polenta, annaspo,
calda e fitta
m’è entrata nei polmoni,
li ha attappati.

Sono una mappa
ammuffitta e poi bruciata,
bruciata nel rogo dell’attesa
e della speranza.
Questa speranza che trucida,
che solo lascia spazio
all’inutile indugio,
alla non-azione,
alla prossima disperazione.

Sono sorda,
cieca
e muta;
strillo dentro e le mucose
s’infiammano,
si dilaniano
e non v’è spazio abbastanza per tirarle fuori.
Furente,
un brandello di carne al fuoco,
rinsecchita,
bruciacchita,
tutt’osso, finita.
Distesa
col peso d’una inutile giovinezza,
incapace di trainare il carro,
incapace di tirare le somme,
incapace addirittura di contare.
Sono a mare,
naufraga del piacere,
dimenticata dagli altri
e da me stessa,
una candela senza stoppino,
una scala a cui manca il primo gradino.

Sono compiuta
senza aver iniziato;
sono un quattro in condotta,
un libro senza copertina,
senza la prima,
né l’ultima pagina.
Una penna a sfera
senza sfera,
una stilografica
con inchiostro asciutto.
Io,
un conato estinto dalla delusione,
un impulso represso,
uno stallone castrato,
uno stinco di porco morso da una iena,
una falena con ali a metà,
una rana stretta troppo forte,
volpe senza pelo,
ragno che ha perduto la ragnatela.
Un veliero senza vela,
stiva rasa al suolo,
lametta arruginita,
unghia morsicata.

Principessa del mio arido deserto,
sultana della disperazione
scorgo l’ultimo spiraglio aperto
e, celere, lo spalanco:
la permanenza mi ristagna,
di solcare le correnti senza spavento
è giunto il tempo.

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