Quant’è desolata e triste
quest’immagine di me che vedo dal di fuori,
questa donna in apparenza felice
e piena di sé,
che lotta per qualcosa d’inesistente,
che soffre
per questo male interiore
che altro non è
che fantasia di perfezionismo.
Come può
un viso ignoto
provocare tanto dolore,
un passante accendere
tanta consapevolezza in me,
risvegliare insicurezza,
generare amarezza?
Che desiderio di poter essere,
per lo meno una volta,
dolce nettare
che gli altri bramano bere,
invece d’apparire un liquore amaro
difficile da digerire.
Vorrei sembrare
una bambina innocente
piuttosto che questa donna vissuta,
che sa tutto e non dice nulla,
che tace, sorride ed acconsente,
che uccide il suo fascino
con la consapevolezza,
la conoscenza e la presunzione.
Vorrei essere una principessina,
anziché questa strega
che con un sospiro carpisce
la pesantezza dell’universo.
E mi torna alla mente
la sofferenza canina
sparsa lungo il cammino.
Per quanto arda di desiderio
giammai tornerei a vedere il tuo volto.
Non sono pronta, adesso:
riesco a vedere lontano
e posso percepire la mia sofferenza,
e non voglio ripetere l’esperienza,
non posso vedere un’altra volta
i miei sogni,
il mio sorriso
evaporare in lacrime amare.
Avevo dimenticato
questa morsa allo stomaco,
questo pianto secco dell’anima,
questa claustrofobia polmonare,
l’asfissia del pensiero
di non poterti mai possedere.
Ho bisogno di una via d’uscita
prima che la tua esistenza
si trasformi in un vicolo cieco.
Ho bisogno d’assopire
quest’autismo d’innamorata,
questa passione d’anacoreta.
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